Il Natale: spirito di unione e famiglia

Dicembre, mese di nasi freddi, fumetti dalla bocca e grandi feste. Nel mio camino la legna arde lenta e costante già dalla mattina presto e il fuoco mi porta alla mente ricordi natalizi.
Per tv e per le strade il bombardamento mediatico impazza e fa si che il mio rifiuto per l’indottrinamento si faccia sentire ancora più accentuato: non ho mai apprezzato chi gioca con i sentimenti delle persone, soprattutto se la vittima è il popolo, debole di fronte a simbolismi radicati nel subconscio.

Frank Sinatra risuona nella mia testa come se fosse lui il Babbo Natale dei miei sogni e una sorta di felicità immotivata pervade tutte le cellule del mio corpo. Una felicità che mi spinge ad avere pensieri di bontà e compassione nei confronti degli altri esseri viventi, la stessa felicità che spinge la maggior parte delle persone a riunirsi con i propri cari attorno ad una tavola. Se focalizziamo l’immagine sulla tavola ciò che troviamo è una grande abbondanza di pietanze, e mettendo meglio a fuoco questi cibi prelibati non possono mancare animali e derivati.

E’ un must, si fa e basta! Ma perché?
Mangiar di magro tra paganesimo e cristianesimo
Per riuscire a individuare le motivazioni di alcuni comportamenti sociali si deve interrogare la storia. La ricorrenza natalizia affonda le radici in tradizioni popolari pagane ancor prima che cristiane: la festa del Fuoco e del Sole dei Celti e i Saturnalia romani, legate al solstizio d’inverno, che aprivano un nuovo ciclo stagionale, momento di fine e di ricominciamento, finché nel 274 d.C. l’imperatore Aureliano decise che il 25 dicembre si doveva festeggiare il Sole.

Da qui la tradizione squisitamente italiana del ceppo natalizio, che doveva ardere per 12 giorni consecutivi.

Guardo il mio fuoco e penso al ceppo natalizio, e ancora mi chiedo dove ci siamo persi per strada scambiando l’abbondanza di carne e pesce per la bontà verso il prossimo.

Si sa, la carne è una tradizione alla quale siamo legati da tempi immemorabili, investita di simbolismo fortissimo, vuoi per la scarsezza, vuoi per il grande valore che aveva come forza lavoro, ha sempre tentato irrimediabilmente la razza umana.

Da cacciatori-raccoglitori a popoli agricoli, evolvendoci abbiamo avuto sempre un rapporto conflittuale con la carne e proprio in tempi di vigilia ci trovavamo nel pieno del conflitto che in qualche modo era “calmato” dalla Chiesa.

La normativa cristiana imponeva al popolo circa 160 giorni l’anno di astinenza: il calendario liturgico scandiva l’anno in giorni “di grasso” e giorni “di magro”, in una roulette di penitenza e purificazione. Ci si purificava da tradizioni ancora pagane (dove la carne era legata al sacrificio e al consumo rituale) e dall’eccesso di libido che le teorie mediche medievali attribuivano al consumo di carne.
Natale e carnismo

Penso alla storia e non posso dimenticare i molti pranzi di Natale trascorsi in famiglia, che più di qualunque altro hanno a che fare con il buon cibo e le buone intenzioni. E proprio questo buon cibo incarna più di qualunque altro cibo i paradossi del mangiare animali: ciò che facciamo (o chi per noi) all’astice vivo è una barbarie che non augureremmo mai a nessuno dei nostri simili. Eppure nel piatto può sembrare così straordinariamente buono e giusto.

Così abbiamo eletto a festa del carnismo il Natale, che ci unisce tutti assieme, con animo rinnovato e più buono.
E se…
Mattina di Natale di 20 anni fa, vi svegliate pronti a un pranzo luculliano: il maialino da latte vi attende in frigo (“iniziamo da quello che richiede più lavoro”), c’è il salmone affumicato da disporre elegantemente in centrotavola come antipasto (“beh, è già pronto, basta qualche crostino caldo”), il cotechino è nella carta della macelleria di fiducia (“stuzzicadenti e mettiamo su le lenticchie”), poi prevedete una crema di zucca e porri come entrée, una bella teglia di patate arrosto, dell’insalata di finocchi e dei broccoli gratin.

Si prospetta un bel pranzetto, e dopo gli auguri della famiglia e le telefonate, iniziate a preparare il tutto. Vi chiamano alla porta, sono i vicini: auguri, baci, abbracci, qualche regalo e ancora due parole…

Finalmente tornate in casa e… il maialino si è carbonizzato in forno, il gatto, preso dal turbinio di odori animaleschi, ha leccato tutta la superficie del salmone e morso qua e là dove poteva, ma visto che quando il cibo c’è è meglio darci dentro, prima ha strappato a morsi il cartoccio del cotechino e poi se lo è trascinato per terra dove il vostro amato fido non aspettava altro che completare l’opera.

Immaginate tutto questo, una visione paradossale, lo so, ma immaginatelo comunque. Vi ricordo che 20 anni fa i negozi erano chiusi, e non c’era dio al mondo che facesse tenere una sola bottega aperta il giorno di Natale!

Avete due chance: giacché gli animali sono così importanti sulla vostra tavola potete fare al forno il cane e mettere il gatto nelle lenticchie al posto del cotechino; oppure, potete mangiare tutto quello che credevate essere un contorno e magari vi ingegnate a trovare qualche sostituzione per rendere il pranzo di Natale comunque appetitoso: non vorrete mandare a casa i parenti!

Questa situazione ci porta all’osso della questione: perché siamo qui seduti attorno ad un tavolo, con i nostri parenti per questo pranzo di Natale? E’ il cibo o qualcos’altro che ci unisce?

Capiamo che il cibo è il pretesto, ma la motivazione vera è lo spirito di unione e di ricominciamento che questo freddo, questo fuoco nel camino, le strade addobbate, i regali e tutte gli altri simboli vogliono ricordarci.

Ci sediamo a tavola con i nostri cari e assaporiamo queste pietanze, senza attaccamento, ma con la gioia di stare assieme e condividere un buon pasto!
Un’idea per un menù di Natale vegan!

Ecco qui un piccolo pensiero, un menù di Natale con tante leccornie: leggi il menù!

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